A proposito di melting pot, nell’enciclopedia Treccani si legge: “amalgama eterogeneo di gruppi, individui e religioni, molto diversificati tra loro per ceto, condizione, appartenenza etnica, che convivono entro la stessa area territoriale geografica e politica”.
E alla parola melting pot siamo portati quasi d’istinto ad associare città che hanno fatto dell’accoglienza e della tolleranza la loro stessa ragione di vita come New York o Londra. Ma anche Singapore o Amsterdam.
Ma tanti secoli fa, quando New York era ancora poco più di una colonia olandese dall’altra parte dell’oceano, in Italia esisteva già una città che aveva fatto del cosmopolitismo e della liberalità il suo credo. Una città che accoglieva popoli e mercanti da ogni dove. Una città di mare dove dialetti e lingue diverse coesistevano pacificamente. Una città dove ogni credo religioso era tollerato e rispettato da tutta la comunità variegata che qui viveva. Una città che prosperava proprio sulle sue differenze, motore stesso della sua ricchezza.
E questa città era Livorno. Da tutti conosciuta come la “ricca città delle nazioni”.
“Verso la metà del Seicento, Livorno era davvero la città ideale e a dimostrarlo fu la sua forte espansione urbana e mercantile. Animata da una umanità dalle fogge e dalle tradizioni più diverse: quelle levantine di ebrei, armeni, greci, musulmani, quelle iberiche, di spagnoli e portoghesi, genti del Nord, francesi, olandesi, inglesi, tedeschi e perfino russi, per non parlare delle colonie di napoletani, genovesi e veneziani”.
E nei percorsi di visita del libro “Livorno: itinerari di terra e di mare” si va alla ricerca non solo di monumenti e opere d’arte ma anche di uomini, donne e storie che hanno fatto di Livorno la città più cosmopolita della sua epoca.

Livorno: itinerari di terra e di mare. Nascita di una città cosmopolita
Nel libro “Livorno: itinerari di terra e di mare” di Otello Chelli scopriamo subito, già dall’introduzione, l’elemento scatenante che rende Livorno allo stesso tempo un pacifico crogiolo di popoli e una piazza commerciale ricchissima.
Si tratta delle cosiddette “Leggi Livornine”, una serie di provvedimenti emanati dalla famiglia Medici – Granduchi di Toscana – in base ai quali si concedevano ampi privilegi di natura sociale e fiscale a tutti coloro i quali volevano stanziarsi nella città di mare e qui intraprendere i loro traffici commerciali. Privilegi che si estendevano non solo ai cittadini del Granducato ma di fatto a tutti i popoli del mondo.
L’autore di “Livorno: itinerari di terra e di mare”, a tal proposito, precisa: “le Lettere Patenti annullavano tasse, debiti e insolvenze, cancellando qualsiasi trascorso penale, concedendo la più alta libertà di culto, dimostrata dai templi ancora esistenti di numerose religioni. Queste concessioni, accompagnate dalla libertà dei costumi e di pensiero, trasformarono la città nascente in un luogo davvero speciale dove ricominciare daccapo una nuova esistenza”.
Va ricordato un’altra cosa fondamentale quando si mette piede a Livorno. Oggi, le atmosfere fiabesche narrate da Otello Chelli in “Livorno: itinerari di terra e di mare” vanno ricercate con cura e sottotraccia perché la città ha subito dolorose distruzioni del suo patrimonio architettonico durante la seconda guerra mondiale.
Dai templi religiosi al mondo intero
Ma alcune episodi che rendevano Livorno una città unica sopravvivono ancora oggi. E tra questi vanno annoverati i templi religiosi nel I itinerario della guida “Livorno: itinerari di terra e di mare”.
I templi ancora oggi visibili solo lo specchio più vero della società multietnica della Livorno granducale. Una città che accoglieva nel suo grembo anche i più derelitti purché vogliosi di iniziare una nuova vita con perseveranza e nel rispetto degli altri. E i templi religiosi delle varie nazioni e dei diversi popoli stanno ancora lì a testimoniare tutto ciò.
“Qui i palazzi e le chiese delle varie comunità estere, sono ancora rimasti quale testimonianza di quella cultura antica che accolse genti provenienti da ogni parte del mondo, con i propri costumi e la propria fede, perfetto simbolo di una città dove la tolleranza e la vita comune tra etnie e nazionalità diverse raggiunse vertici difficilmente raggiungibili”.
Su via della Madonna, una volta nota non a caso come via delle Chiese, incontriamo una vicino all’altra alcune strutture religiose straordinarie e dal gusto esotico come la chiesa dei Greci Uniti (utilizzata sia dai cattolici che dagli ortodossi) o la chiesa degli Armeni. Sempre su questa strada si trova la chiesa della Madonna, guidata dai Francescani, ed emblema stesso del multiculturalismo di Livorno. Al suo interno gli altari delle varie cappelle appartenevano alle varie comunità cattoliche attive in città: francesi, corsi, portoghesi e altre ancora.
Sparse per le strade percorse dall’autore di “Livorno: itinerari di terra e di mare”, troviamo ancora la chiesa Anglicana con annesso Camposanto in stile neoclassico e la chiesa della comunità Olandese Alemanna. E infine la Sinagoga, ricostruita in forme moderne dopo che quella seicentesca venne distrutta durante i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale.
La Venezia Nuova: una città nella città
Il II itinerario di “Livorno: itinerari di terra e di mare” è interamente dedicato alla Venezia Nuova. Un quartiere che è una sorta di città nella città e che riassume in sé stessa tutto lo spirito cosmopolita della città labronica.
La Venezia Nuova, nacque sempre per volontà dei Granduchi di Toscana, per razionalizzare l’ambiente urbano intorno al porto che nel frattempo andava accrescendosi sempre più con l’aumento dei commerci. Nasceva su un dedalo di canali, come quelli veneziani, che a Livorno sono conosciuti come fossi medicei. Ma soprattutto si legava a doppio filo con lo scalo commerciale che godeva dello status di porto franco (in cui le merci beneficiavano di un regime fiscale decisamente agevolato). Uno status che, insieme alle Leggi Livornine, trasformarono il porto in uno degli scali più ricchi del Mediteranno, la Venezia Nuova in un quartiere dinamico e spregiudicato e l’intera Livorno nella “ricca città delle nazioni”.
La Venezia Nuova fu uno dei luoghi più colpiti della città dalle bombe della seconda guerra mondiale. E malgrado questo tra fossi medicei, scali e banchine cela al suo interno i monumenti più singolari e identitari di Livorno. Su tutti possiamo citare la Fortezza Vecchia, dove i Medici fecero inglobare le strutture preesistenti (la Rocca di Matilde e la Quadratura dei Pisani) in una imponente e spettacolare struttura difensiva.
Ma lo spirito vero della Venezia Nuova non si ritrova solo nei suoi eccelsi monumenti ma soprattutto nelle storie dei suoi abitanti, gente fumantina ma di cuore, libertaria ed idealista che patì con dignità i morsi della fame più nera quando i Savoia – nella più ampia organizzazione dello stato unitario – tolsero allo scalo di Livorno lo status di porto franco.
Un quartiere che si perde tra i riflessi del mito nelle parole dell’autore di “Livorno: itinerari di terra e di mare”. Poiché Otello Chelli qui è cresciuto e alla Venezia Nuova ha dedicato gran parte del suo impegno umano: “questo ragazzetto, ormai un vecchio, ama ancora con tutto il cuore il quartiere scomparso tra le laceranti fischia dei grappoli di bombe che martellavano le case, le chiese, i ponti, trasformando una splendida giornata di primavera, in un girone dell’inferno”.