FRANCESCO BORROMINI: TALENTO ed INQUIETITUDINE Vita, morte ed architettura del genio del Barocco

E quando mai finirete d’affliggermi o miei funesti pensieri? Quando l’animo mio cesserà d’agitarsi? Quando partiran da me tante pene? Che fo io più in questa cruda, ed esecrabil vita?

Uno dei più grandi architetti dell’età barocca e di tutta la storia dell’arte.

Oggi parliamo di:

  • Francesco Borromini

il geniale artista del ‘600 con un carattere sicuramente poco affabile.

Solitario, scontroso ed incline alla collera, introspettivo e con tratti ipocondriaci che aumentarono sensibilmente negli ultimi anni della sua tormentata esistenza.

Nello spazio di questo articolo, ti parlerò della vita e della tragica morte di questo architetto e di uno dei suoi eccezionali capolavori:

  • la chiesa di S. Carlo alle Quattro Fontane a Roma

nota semplicemente come S. Carlino.

Ma cominciamo dalla… fine.

Francesco Borromini: “spesso il male di vivere ho incontrato”

Roma. Primi giorni di agosto dell’anno 1667.

È notte fonda. Anche a quell’ora, il caldo opprimente intorpidisce l’animo e la mente.

Nella sua casa a pochi passi dal Tevere, un uomo in preda agli incubi più atroci si rigira continuamente nel suo letto.

L’uomo tenta invano di abbandonare le sue membra sfinite in un dolce sonno. Ma è come tentare di toccare una chimera irraggiungibile, nell’afa asfissiante di questa inquieta notte romana.

La preoccupazione perenne e il mal di vivere accompagnati da una lacerante ipocondria tormentano continuamente l’uomo, anche tra le mura amiche al riparo nel suo letto.

Le ombre profonde della notte cedono il passo ai primi chiarori dell’alba.

Forse non è passata nemmeno un’ora da quando Francesco Borromini ha iniziato a riposare.

L’architetto ticinese chiama il suo servitore e lo implora di accendere il lume. Ha bisogno di scrivere, di vergare ancora una volta con la sua matita schizzi e appunti. Forse è l’unico modo che conosce per alleviare per qualche minuto i suoi tormenti.

Ma il servitore gli nega questa gioia. I medici hanno intimato il riposo assoluto.

Francesco Borromini non può credere ai suoi occhi. In preda ad un attacco di nervi, trasforma quel semplice rifiuto nel pretesto per compiere l’atto più drammatico che un uomo possa fare contro se stesso.

Incautamente, nella sua stanza era rimasta una spada.

In un attimo di lucida follia punta la spada al proprio fianco e vi si getta sopra: la spada lo trapassa da una parte all’altra e insieme alla carne, la lama trapassa anche i suoi pensieri inquieti.

Francesco Borromini vivrà ancora un giorno intero dopo questo tragico gesto. Un giorno intero in cui ebbe modo di meditare su tutta la sua vita, una vita passata alla ricerca continua della perfezione e del sublime in architettura.

Dal Canton Ticino a Roma

Francesco Borromini – al secolo Francesco Castelli – nacque nel 1599 a Bissone, un piccolo borgo stretto tra il lago di Lugano e le montagne svizzere.

Il Canton Ticino per secoli ha fornito scalpellini, intagliatori e maestranze qualificate ai grandi cantieri sparsi nelle varie città europee.

E a questo destino non sfugge il nostro Francesco Borromini che, all’età di circa 20 anni e dopo esser passato per Milano, arriva a Roma proprio nelle vesti di scalpellino.

Qui entra al servizio di Carlo Maderno, ticinese come lui e suo lontano parente, all’epoca architetto capo della fabbrica di S. Pietro.

E qui, con sudore e fatica, impara sul campo i dettagli del mestiere diventando col tempo un grande conoscitore dell’architettura e un immenso e fantasioso progettista.

La sua carriera è quindi un crescendo lento e inesorabile di eccelsa maestria: solo il suo carattere umbratile e scontroso mise in pericolo il suo talento e le sue commissioni fino ad arrivare ai fatti tragici degli ultimi anni della sua vita.

Bernini e Borromini: una rivalità tutta “barocca”

Sulla rivalità tra Bernini e Borromini è stato scritto praticamente tutto.

È certo che la loro competizione suscita ancora oggi un fascino indescrivibile ed è quasi impossibile parlare dell’uno senza citare l’altro.

Questo è vero già per ragioni anagrafiche e biografiche. Francesco Borromini nasce nel 1599 mentre Bernini esattamente un anno prima, nel 1598.

Prima Gian Lorenzo e poi Francesco – per ragioni diverse – si trasferiscono giovanissimi a Roma e presto li vedremo lavorare praticamente fianco a fianco nella basilica di S. Pietro alle dipendenze di Carlo Maderno.

La loro rivalità – a tratti molto romanzata – in realtà vede larghi momenti di collaborazione.

Vale per tutti la costruzione del mitico baldacchino bronzeo nella basilica di San Pietro (ideata nei primi anni del ‘500 da Donato Bramante): opera giovanile di Bernini dove però l’architetto ticinese svolge il ruolo di supervisore ed esecutore materiale di alcune decorazioni.

Malgrado sia universalmente riconosciuta come ideazione del Bernini, ancora oggi ci si interroga sul ruolo di Francesco Borromini nella progettazione dell’opera: un ruolo forse molto più rilevante di quello che la storia ci ha tramandato.

L’architetto ticinese per anni vive nell’ombra di Bernini e mentre questo – alla morte del Maderno – diventa il giovanissimo architetto capo di S. Pietro, a lui rimangono soltanto le briciole.

maderno bernini borromini
Carlo Maderno, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini#googleimages

Più che la maestria, è il carattere e la personalità la vera differenza tra i due artisti.

Francesco Borromini è scontroso, solitario e collerico, veste sempre di nero – quasi come fosse un membro di una confraternita religiosa.

Bernini è l’esatto opposto: è estroverso ed affabile, frequenta con disinvoltura i salotti buoni e le stanze dei bottoni. Abbiamo visto insieme che è amico personale di papi e principi.

Forse sarà questa visione della vita – più delle capacità sul campo – a segnare la carriera dei due artisti.

S. Carlino: il piccolo gioiello del Barocco

Già nel 1629 papa Urbano VIII Barberini nomina Bernini – a soli 31 anni e con pochissima esperienza progettuale alle spalle – sovrintendente di S. Pietro.

Francesco Borromini intraprende il suo primo progetto in totale autonomia soltanto nel 1635.

È una commissione “minore” dovuta ai Padri Trinitari, una piccola opera che il genio assoluto di Francesco Borromini trasformerà in una delle icone del Barocco romano.

Sto parlando della:

  • chiesa di S. Carlo alle Quattro Fontane

da tutti conosciuta semplicemente come S. Carlino, per le sue dimensioni contenute.

La pianta della chiesa di S. Carlino è l’emblema delle idee progettuali dell’architetto ticinese: le proporzioni matematiche rinascimentali vengono sostituite da complessi modelli geometrici.

L’elemento geometrico principe di questo capolavoro è l’ellisse, ellisse che viene smussato da quattro nicchie poste sui vertici dell’asse maggiore e dell’asse minore.

Il gioco delle curve e degli elementi concavi e convessi sembra far letteralmente respirare la piccola chiesa e trova la naturale conclusione nella cupola ovale che copre lo spazio sulle nostre teste.

La cupola è traforata da un complesso disegno di croci, ottagoni ed esagoni fittamente accostati tra loro quasi a formare un gigantesco puzzle.

La cupola culmina nella lanterna centrale da cui piove una luce dal sapore mistico e in cui è collocata la colomba all’interno delle figure divine del cerchio e del triangolo.

Francesco Borromini sarà autore anche del magistrale chiostro posto sul fianco della chiesa e, tra il 1665 e il 1667, della facciata di S. Carlino dove vengono riproposte le sinuose linee concave e convesse.

Ascesa (momentanea) di Borromini

La parabola artistica di Francesco Borromini non è esplosiva come quella di Bernini ma è graduale e sicuramente più sofferta.

Un cambio al vertice favorirà un momentaneo crollo della fama del Bernini e la relativa ascesa dell’architetto ticinese.

Nel 1644 muore Urbano VIII, il papa che aveva incoronato il trentenne Gian Lorenzo a capo della fabbrica di S. Pietro.

In quello stesso anno sale al soglio pontificio Innocenzo X, esponente di spicco della famiglia Pamphilj e nemico giurato dei Barberini – la casata a cui apparteneva Urbano VIII.

Innocenzo X inizia una guerra a colpi di carte bollate contro i Barberini, colpevoli a suo avviso di aver dissanguato le casse pontificie. L’odio per i Barberini si estende anche ai loro sodali e per tale motivo Bernini viene messo all’angolo e cade momentaneamente in disgrazia.

Una disgrazia più teorica che reale considerando che Gian Lorenzo comunque ebbe occasione di lavorare alle dirette dipendenze del nuovo papa: la fantastica fontana dei quattro fiumi in piazza Navona ne è una testimonianza diretta.

In vista del Giubileo dell’anno 1650 – Innocenzo X decide di affidare a Francesco Borromini la ristrutturazione della basilica di S. Giovanni in Laterano: a livello professionale, con questa prestigiosa commissione, l’architetto ticinese raggiunge l’apice della sua carriera.

La tragica fine di Borromini

Ma la gloria durerà poco.

Francesco Borromini non è uomo di mondo, e forse nemmeno d’affari, ed il pontificato di Innocenzo X dura troppo poco.

Nel 1655 viene nominato papa Alessandro VII della famiglia Chigi.

Bernini torna al posto di comando sulla scena artistica romana e l’architetto ticinese – forse più per le sue incapacità relazionali che per altro – perde una dopo l’altra tutte le importanti commissioni a cui stava lavorando in quegli anni.

Viene estromesso dal progetto per S. Giovanni in Laterano, da quello della chiesa di Sant’Agnese in piazza Navona e dall’Oratorio dei Filippini accanto alla Chiesa Nuova.

Gli ultimi anni di vita del grande architetto ticinese furono segnati da indicibili tormenti interiori.

E qui torniamo all’inizio della nostra storia.

Assalito da un malessere profondo, decise di farla finita e – con la massima lucidità – si ferì mortalmente con le proprie mani in una afosa nottata romana dell’agosto 1667.

Francesco Borromini visse ancora per tutto il giorno seguente.

Ebbe così il tempo di stilare il suo testamento, di ricevere l’estrema unzione e di esternare la volontà di essere sepolto nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini accanto a Carlo Maderno, suo amico e maestro.

“E furibondo alzatosi corse a prender una spada, che per sua sventura, con poca avvertenza di chi lo serviva, stava ivi sovra d’un desco, e rivolto al pavimento il pomo senz’altro dire, o riflettere, si lasciò barbaramente cader sopra la punta, e miseramente si trapassò da banda a banda allo ‘nsu verso la schiena”

 (Lione Pascoli)

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Pablo Picasso

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