
Naturalmente il soggetto non poteva che essere un compianto sul Cristo morto, da sempre espressione dello strazio materno di fronte alla morte innaturale di un figlio amato. E naturalmente l’autore non poteva che essere Raffaello da Urbino, trasferitosi nel frattempo a Firenze ma considerato pur sempre il miglior pittore dell’Italia centrale
Antonio Forcellino Tweet
Il 2020 è l’anno di Raffaello Sanzio: il pittore divino. Raffaello Sanzio ci lasciava infatti nel 1520, ad appena 37 anni e nel pieno del suo fervore creativo.
Nel corso dell’anno, abbiamo già avuto modo di celebrare il grande artista del Rinascimento italiano. La Scuola di Atene, all’interno delle Stanze Vaticane, rimane uno dei vertici insuperati della sua pittura – ammirato ogni anno da migliaia di visitatori estasiati.
Rimaniamo sempre a Roma, per ammirare un altro capolavoro di Raffaello Sanzio. Forse meno conosciuto, meno famoso ma non per questo meno potente di altre opere dell’Urbinate.
Varchiamo la soglia incantata di Galleria Borghese. E tra i tetri quadri di Caravaggio e le statue sprizzanti vitalità di Bernini, scorgiamo la straordinaria:
- Deposizione di Cristo
anche nota come pala Baglioni.
La Pala Baglioni cela, dietro le mirabolanti pennellate di Raffaello Sanzio, una miriade di storie e di intrecci. Storie che vale la pena di raccontare e di ascoltare.
Ma partiamo dal principio.

Raffaello Sanzio: scene da un dramma familiare
Perugia, estate dell’anno 1500.
Intrighi familiari, congiure, complotti. Tradimenti e sotterfugi. Una trama da “Beautiful” del Rinascimento ma con uno strascico di sangue e morti inimmaginabile.
Niente di fosco si intravedeva all’orizzonte in quei giorni di fine giugno dell’anno 1500. Tutta la città di Perugia era impegnata nei preparativi e nei festeggiamenti del matrimonio di Astorre Baglioni con la giova nobildonna romana Lavinia Colonna.
Astorre era uno degli eredi principali dei Baglioni – il potente casato che da tempo estendeva il suo controllo sulla città umbra.
Per il suo matrimonio tutta la città era stata mobilitata. Festoni, archi trionfali, tappeti di fiori ornavano Perugia preparata a puntino per i fastosi festeggiamenti che sarebbero andati avanti per giorni interi.
Ma una notte la natura si fece minacciosa e una grandinata senza precedenti si abbatté sulla città distruggendo tutti gli apparati decorativi del matrimonio. Ma i Baglioni e i perugini non si persero d’animo. E la mattina seguente si rimboccarono le maniche per rimediare ai danni del furioso maltempo scatenatosi la notte precedente.
Ma qualcuno della famiglia iniziò a nutrire dubbi sul vero significato di quella tempesta di grandine. Si trattava soltanto un fenomeno naturale fuori stagione? O dietro i grossi chicchi ghiacciati che fecero scempio degli addobbi si nascondeva qualcosa di più profondo?
Alcuni componenti della famiglia si recarono da una veggente del posto e il responso fu terribile. La veggente vide chiaramente l’immagine di Astorre crocifisso e del suo corpo bruciato.
La saga dei Baglioni
A quel punto gli eventi precipitarono. E il sangue dei Baglioni venne versato letteralmente a fiumi tra le strade della città.
Come spesso accade – la congiura dei Pazzi è l’esempio più calzante – il complotto nacque all’interno della stessa famiglia. Specie tra i componenti che non occupavano i posti di comando e che anelavano in maniera spasmodica al potere diretto.
Nella congiura fu tirato dentro anche Grifonetto, figlio di Atalanta e Grifone, a cui i congiurati promisero il posto di comando più alto. Ma Grifonetto esitava. A capo del clan e della città vi erano pur sempre i suoi cugini e in quei giorni si festeggiava proprio il matrimonio di Astorre.
Ma i congiurati seppero andare a segno e sussurrarono nell’orecchio di Grifonetto che Gian Paolo – fratello di Astorre – aveva una relazione segreta con sua moglie Zenobia. A quel punto i dubbi di Grifonetto si diradarono e l’eccidio ebbe inizio.
La rivolta contro il proprio stesso sangue venne guidata da Filippo, altro zio di Grifonetto. Si narra che Filippo fece irruzione nella stanza da letto di Astorre e lo uccise senza pietà sotto gli occhi atterriti della sposa Lavinia.
Ma anche in questo caso, oltre alle atrocità perpetrate, la congiura non sortì gli effetti sperati. Gian Paolo, fratello di Astorre, riuscì a salvarsi e il popolo non simpatizzò con in congiurati. Anzi, il risultato finale fu proprio il contrario di quello sperato. E Grifonetto a quel punto capì tutta la gravità della sua condotta, impallidendo alla vista delle conseguenze.
Il pentimento di Grifonetto
La madre Atalanta con la nuora Zenobia e gli altri membri del clan sopravvissuti alla strage si asserragliarono in una casa-fortezza.
Grifonetto, amaramente pentito, corse a chiedere perdono alla madre che però rifiutò in maniera categorica le scuse del figlio. Anzi, lo cacciò indietro malamente: non avrebbe mai dovuto accanirsi contro il suo stesso sangue.
Sulla via del ritorno, Grifonetto incontrò Gian Paolo – che nel frattempo si era già riorganizzato e stava tornando imperioso a riprendersi il suo posto. Gian Paolo, inaspettatamente, lo graziò condannandolo però seduta stante all’esilio.
Tuttavia, i membri della scorta non ebbero la stessa clemenza e trucidarono Grifonetto sul posto anche per lavare via l’onta subita da Gian Paolo.
A quel punto, Atalanta e Zenobia sentendo le grida si precipitarono all’esterno. Quando arrivarono a pochi metri da Grifonetto, il dolore e lo strazio si impossessò delle donne. Gli sgherri non avevano avuto modo di finire il giovane che spirò tra le braccia di Atalanta. Ma prima di esalare l’ultimo respiro, Atalanta perdonò con tutto l’amore del mondo quel suo figlio sfortunato – carnefice e vittima allo stesso tempo.
La scena di Grifonetto che moriva tra le braccia della madre rimase impressa per sempre negli occhi dei perugini e nelle pennellate di Raffaello Sanzio.
La pala Baglioni: una breve descrizione
La pala Baglioni di Raffaello Sanzio si trova all’interno della sala 9 di Galleria Borghese, anche nota come sala di Didone. Il nome dell’ambiente deriva dai dipinti che decorano la volta raffiguranti momenti delle storie di Enea e Didone.
All’interno della sala di Didone, si possono osservare altre opere magistrali del periodo giovanile di Raffaello Sanzio come la Dama col liocorno e il Ritratto d’uomo.
E sempre nella stessa sala, Raffaello Sanzio è in buona compagnia di altri grandi esponenti del Rinascimento come Pinturicchio, Perugino e Botticelli.
Ma torniamo alla nostra Pala Baglioni e concentriamoci sul dipinto. L’opera è un olio su tela e riporta nella parte in basso a sinistra data e firma dell’autore: “Raphael Urbinas MDVII”.
Come nello Sposalizio della Vergine della Pinacoteca di Brera, anche qui Raffaello Sanzio si ispira ad un’opera del Perugino: il Compianto su Cristo morto di Palazzo Pitti a Firenze. Ma proprio come in quel caso anche nella pala Baglioni, Raffaello Sanzio – poco più che ventenne – supera il maestro per forma ed intensità.
Qualche anno dopo i tragici fatti della faida dei Baglioni – Atalanta decide di onorare la morte del figlio con un’opera di natura religiosa. E commissiona a Raffaello Sanzio l’esecuzione di questa splendida Deposizione di Cristo.
La Madonna che sviene per il dolore alla vista del corpo del figlio morto ricalca la tragedia vissuta da Atalanta sulla propria pelle.
Vedendo la Deposizione di Cristo, la mente dei perugini ritornò immediatamente alla scena straziante di Atalanta e Grifonetto. La Madonna che sviene per il dolore sulla destra del quadro può incarnare proprio Atalanta e il suo dolore immenso per la perdita del figlio. Mentre la donna inginocchiata che sorregge la Madonna può raffigurare la giovane Zenobia che sostiene la madre del proprio sposo.

La pala Baglioni: furto senza scasso
Il dolore di una madre per la perdita del figlio amato viene perpetrato nel tempo. E rivive con emozioni uniche nei sopraffini tocchi di colore di Raffaello Sanzio.
La pala Baglioni ha impreziosito per circa un secolo la cappella di famiglia dei Baglioni all’interno della chiesa di San Francesco al Prato a Perugia.
Esattamente un secolo dopo avvenne qualcosa di letteralmente eclatante. A quel tempo, la dinastia dei Baglioni non regnava più sulla città umbra che era rientrata di diritto nella sfera di competenza dello stato pontificio.
Senza che i frati potessero opporsi, una notte del 1608 alcuni uomini giunti da Roma staccarono la pala d’altare di Raffaello Sanzio dalla parete della chiesa. Debitamente impacchettata, l’opera venne portata a Roma e recapitata direttamente al papa Paolo V Borghese.
Malgrado le accese proteste dei perugini, la pala Baglioni venne “regalata” dal papa a Scipione Borghese, il potente cardinal nepote dell’epoca. Che si distingueva per essere un discreto intenditore d’arte e un collezionista ai limiti della legge.
Da quel momento, la pala Baglioni di Raffaello Sanzio fa bella mostra di sé all’interno delle sale della Galleria Borghese. In compagnia dei quadri di Caravaggio, delle statue di Bernini e degli altri immensi capolavori che adornano questo museo unico al mondo.