Un sogno, un’esperienza onirica, una camminata tra i selciati dell’anima.
Nel libro “Mi sono perso a Genova”, i ricordi dell’autore e la memoria della città si sovrappongono, si scambiano continuamente i ruoli fino a confondersi in visioni letterarie e fotografiche, poetiche ma mai stucchevoli, romantiche ma mai banali.

I sogni guidano questi racconti, in una trama che lo stesso autore definisce “un’impresa di costruzioni onirica”:
“Finirò prima io della mia città, e questo è ciò che deve essere: come ho potuto constatare nei molti giorni e anni di veglia che ho abitato nella città, Genova è più grande di tutto quello che potrò mai vedere di lei, oltre che di tutti i sogni che io abbia mai potuto sognare”.
Mi sono perso a Genova: alla ricerca della bellezza
La Genova di Maurizio Maggiani è una città che non ha bisogno di monumenti eccelsi o di personaggi storici dai nomi roboanti per essere raccontata.
La Genova di Maggiani è costituita da anfratti e recessi, da luoghi che vivono in virtù della loro funzione collettiva e da persone da cui trapela dignità e senso di solidarietà.
L’autore di “Mi sono perso a Genova” è alla ricerca spasmodica della bellezza.
Una bellezza che non ha nulla di glamour ed eclatante, ma che è stata appresa nella quotidianità di un’infanzia vissuta in un mondo in cui ogni gesto è misurato e compiuto a regola d’arte, e per questo “bello”.
E questa bellezza necessaria – in un contesto totalmente diverso – viene cercata e ritrovata dallo scrittore proprio qui a Genova:
“Ora deve essere chiaro che la sostanza di tutto, la ragione soggiacente al fatto che ora sia qui, sia tornato per restare e resterò nella città di Genova, è pura e squisita, gratuita necessità di bellezza. Non sono tornato per la fortuna, sono tornato per la bellezza. È in questa città che ho stabilito la sua sede”.
Storie di umanità
Ci sono tante storie nelle pagine di “Mi sono perso a Genova”.
Uomini e donne e cittadini del mondo si mescolano nei ricordi dell’autore.
Si stabiliscono relazioni, si tesse empatia, si ama la città: in questo modo si abita con gli uomini tra le pietre e non in un puro deserto.
Tra le righe di “Mi sono perso a Genova”, vivono personaggi come “la Veronica”, la bisnonna tuttofare ed operosa che badava e nutriva la numerosa famiglia dell’autore.
C’è Aristo, architetto e partigiano, che narra a Maggiani di Genova e del Novecento.
C’è Mafalda, una donna con una missione particolare, che appone la sua sigla simbolica con un pennarello nero water resistant in ogni luogo della città, quasi un gesto artistico d’avanguardia.
C’è il Giaguaro, un marinaio argentino trapiantato qui, che ha fatto del porto la sua casa e cucina il miglior stoccafisso di Genova.
Storie di luoghi
E ci sono tanti luoghi tra le pagine di “Mi sono perso a Genova”. Luoghi a metà strada tra la realtà e le immagini proiettate nella memoria dello scrittore.
C’è il passo del Bracco, primo contatto reale tra Genova e Maggiani.
Il viaggio nella “Topolino” con i genitori rivive nel suo spirito di bambino, quando a sette anni entra per la prima volta in città passando proprio per il Bracco.
Una sorta di valico/metafora che protegge la città e che funge da spartiacque tra chi vive “di là” e “di qua dal Bracco”.
C’è piazza Sant’Anna, “…la più sghemba, verdeggiante, complicata, segreta e dolcemente intima piazza d’Italia”. Una piazza senza forma ma dove magicamente ogni cosa sembra essere al suo posto, in perfetto equilibrio.
C’è il porto, che vive e respira come un essere vivente. Se visto di sfuggita o da lontano, probabilmente la sua vera natura sfuggirà a tutti. Ma se provi a passarci dentro, ad ascoltarne i rumori, ad annusarne gli odori, a vederne i continui movimenti e a percepirne il ritmo, allora capirai la sua vera natura: “Ci vogliono secoli perché un corpo così vasto si formi; ma, come diceva il Giaguaro, un buon porto, se è un buon porto, non muore mai”.
Ci sono luoghi a metà strada tra l’onirico e la realtà nelle pagine di “Mi sono perso a Genova”.
In viaggio tra memoria, sogni e parole
Ci sono gli accostamenti che solo a prima vista sembrano paradossali, ma che in realtà sono la cartina di tornasole della bellezza complessa e stratificata di questa città.
È il caso della settecentesca Villa Bombrini, sovrastata dal gasometro di Campi, una delle immagini più emblematiche del libro “Mi sono perso a Genova”.
Una sovrapposizione che ha dell’incredibile, un’immagine iconica a testimonianza del fatto che: “…Genova non è mai una cosa sola. Ma sempre due cose assieme, o tre, o quattro. Sempre, in ogni suo luogo, circostanza e anima”.
Il viaggio può essere nella memoria, tra le persone, nei luoghi o in tutte queste cose insieme.
Sia come sia, l’unico modo per vivere la città in maniera viscerale è quello di perdersi nelle sue strade, tra la sua gente e i suoi sogni:
“Andare per la città a perdermi dietro la sua bellezza; e con il tempo casa mia è diventata la città. Ho disegnato percorsi, tracciato sentieri; come i cartografi, come le pecore. Nessuna retta. Mai una sola linea che congiunga il punto A al punto B nel più breve tratto possibile. Ma ellissi irregolari, spiraloidi, tortuosità. Dal punto A al punto A, passando per quasi infiniti punti. Come lo scarabocchio di un bambino”.
Questo, per noi camminatori instancabili con i piedi e con la testa, è il più grande insegnamento del libro “Mi sono perso a Genova”: un insegnamento che solo uno scrittore, con il suo bagaglio di sogni e parole, poteva trasmetterci in maniera così cristallina.